Spaccio di droga nella piana di Gioia Tauro. 18 indagati, Le indagini partono dalla denuncia di un genitore

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18 indagati colpiti da misure cautelari nell’operazione denominata “Perseverant” coordinata dal Procuratore di Palmi Emanuele Crescenti e dal Sostituto Procuratore Davide Lucisano e condotta dai Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria. Scoperto un articolato giro di spaccio di sostanze stupefacenti fortemente radicato nei Comuni di Taurianova e Rosarno. A dare avvio alle indagini è stata la denuncia sporta dal padre di una giovane assuntrice di droghe che, vista la brutta china che stava prendendo la figlia ventenne, ha deciso di rivolgersi ai militari dell’Arma della Stazione di Taurianova. Gli approfondimenti investigativi, avviati nel marzo del 2020, hanno consentito di accertare i timori dell’uomo, riscontrando l’esistenza di un florido mercato della droga leggera e pesante, con base a Taurianova e ramificazioni a Rosarno, Platì e Gerocarne, dove avevano base i fornitori. L’attività illecita non è stata interrotta neanche durante la pandemia Covid, le cui restrizioni venivano aggirate dagli indagati che, per ridurre il rischio dei controlli, avevano messo da parte le auto ed avevano iniziato a consegnare la droga in bicicletta, direttamente presso le abitazioni degli acquirenti. Per mantenere i contatti, visto il divieto di assembramento, tutte le comunicazioni venivano effettuate online, con canali Telegram, o altre applicazioni di messaggistica, dedicati proprio ad accordare la domanda e l’offerta di narcotico. Numerosissime le cessioni riscontrate, per un giro di affari che gli investigatori hanno stimato superiore ad un milione di euro. Secondo l’ipotesi d’accusa, sposata dal GIP di Palmi che ha firmato l’ordinanza cautelare, si ritiene che gli indagati, grazie a fonti di approvvigionamento sul territorio nazionale e all’estero, siano coinvolti in almeno una cinquantina di eventi delittuosi. 9 gli arresti in flagranza di reato. Il Giudice ha ritenuto di fondamentale importanza il rinvenimento di una piantagione di canapa indiana, ricavata in un bunker occultato da un capannone agricolo. Lì, tre metri sotto il terreno, gli indagati avevano meticolosamente allestito degli impianti idroponici, completi di sistemi di riscaldamento, ventilazione e illuminazione a lampade UV, destinati alla coltivazione di canapa indiana. Lo stupefacente, lavorato in dosi, avrebbe permesso agli indagati di ricavare utili non inferiori a 200.000 euro. L’indagine, infine, ha fatto luce anche sui maltrattamenti che la moglie e la figlia di uno degli arrestati hanno dovuto per anni subire in silenzio. Rese incapaci di denunciare, costrette a vivere secluse, quotidianamente umiliate e più volte malmenate, le due donne sono state ora soccorse dai Carabinieri e sottratte a questa dolorosa e avvilente convivenza.